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Faenza
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dal 28 giugno 2014 al 1 febbraio 2015 -
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La «filosofia» de «La ceramica che cambia», al Mic di Faenza da venerdì 27 giugno (inaugurazione alle 18), è chiara fin dal potentissimo esordio costituito da Arturo Martini, faro e modello fino al secondo dopoguerra (nel ’47 Martini muore improvvisamente), ma con strascichi destinati a protrarsi anche molto oltre.
Nelle intenzioni della curatrice Claudia Casali è questa l’occasione per esplorare le varie poetiche che hanno influenzato l’evoluzione della scultura ceramica del secondo Novecento e non si poteva che partire da Martini. Accanto a due monumentali terrecotte (Aviatore e La Veglia) provenienti dalla Carisbo di Bologna ed esposte l’anno scorso a Palazzo Fava, risplende pur nei risvolti inquieti il gres «impolverato» de La Zingara: una donna a seno nudo con ghigno disarmante stringe sottobraccio un agnellino mentre con l’altra mano regge un uccello che non sapresti dire se gallina o pappagallo o poiana; in questo capolavoro di metà anni ’30 c’è tutto il Martini figurativo più impressionante. A dialogare con lui sono i contemporanei Francesco Messina e Marino Marini, entrambi con due figure femminili, ma profondamente diverse: classica la Bagnante del primo e invece stilizzato, già «sporco» o comunque anticipatore delle tendenze all’astrattismo, il Piccolo nudo del secondo.
La mostra segue un filo tematico, rispettando ove possibile la cronologia ma raggruppando appunto le opere per linguaggi: e allora l’espressione figurativa che parte da Martini si sviluppa col ruralismo suadente di Aldo Ajò, con le riscoperte mitologiche del sardo Gavino Tilocca e con le rinsecchite predilezioni macabre del nostro Angelo Biancini, di cui è esposto (ripescato dagli straordinari depositi Mic) un inedito Soldati di guardia al Santo Sepolcro, del ’57. E sempre nell’ambito del figurativo si arriva ai giorni nostri, con i coccodrilli e i dormienti di Paladino, i calzoni appesi di Guido Mariani o gli ironici, compositi autoritratti di Ontani. Certo, una parentesi significativa è il picassismo, con il fanciullesco narrativo di Arrigo Visani o le violente stilizzazioni di Salvatore Cipolla; si arriverà al neoprimitivismo di Salvatore Meli o, incredibile, alle eresie di Nanni Valentini che prima di approdare alla sua ceramica terragna e brutale -
Naturalmente la lista non è finita: ci sono i mitici tori di Diato, le lastre bruciacchiate di Pianezzola, le figure d’albero di Spagnulo, le delicatissime sabbie di Lucietti, le note musicali di Recalcati. Ancora, va detto che giustamente si è utilizzato moltissimo materiale «interno», cioè proveniente dai magazzini del Mic, non solo per il costo zero, ma anche – e soprattutto – per la fragile, gigantesca bellezza dei pezzi stessi. Stupirà anche quella di autori faentini stranoti (Matteucci, Sassi, Rontini, Zauli, Tramonti, Gaeta, Panos…) eppure sempre affascinanti.
Sandro Bassi
vaso, 1957 -
maiolica dipinta in policromia
MIC in. n. 8334
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